Il giorno 18 settembre a Portogruaro, presso la Villa Comunale, organizzato dai Giovani Democratici, si è tenuto un interessante incontro su un tema amministrativo di cui, spinti anche dalle recenti normative, si inizia a discutere con attenzione. Il titolo del dibattito era infatti:
“UNIONE DEI COMUNI DEL PORTOGRUARESE:
Motivazioni e prospettive”
Sono intervenuti:
- Antonio Bertoncello, Sindaco di Portogruaro,
- Marco Geromin, il Sindaco di Concordia Sagittaria
- Alessio Geremia, consigliere comunale di Teglio Veneto, nonché segretario mandamentale della Lega Nord,
- Alessandro Coccolo, segretario di zona del Partito Democratico.
Sono emersi importanti spunti dai relatori, che spingono ad una continuazione e ad un ampliamento del confronto, con l’obiettivo di arrivare, nei giusti tempi, ad una svolta in merito.
Pubblichiamo di seguito la relazione del Sindaco di Portogruaro, Antonio Bertoncello.
Nell’accettare l’invito a questo confronto avevo fatto presente alcuni aspetti che ritengo importanti e che riguardano l’approccio a questi temi.
Questi temi devono essere affrontanti con serietà, senza semplificazioni, non si affrontano con tifoserie o cliccando il “mi piace” in Facebook.
Non esiste un big-bang per tali processi, tutto va costruito, con i tempi e con i modi necessari.
Sono processi di “avvicinamento” e per questo devono essere avviati bene, partendo da considerazioni e valutazioni oggettive, ma soprattutto convincenti, che riescano a coinvolgere veramente l’opinione pubblica.
La riunione di questa sera quindi, a mio avviso, sarebbe stata ancora più utile se preceduta da alcuni approfondimenti da parte del PD di zona o almeno dai circoli delle realtà interessate.
Considero quindi questa sera come una sorte di sollecitazione, di stimolo.
Sulla volontà di questi processi aggregativi io personalmente non ho dubbi.
Nel programma di mandato di Portogruaro abbiamo scritto nero su bianco ed i candidati hanno sottoscritto un obiettivo:
“Vogliamo rilanciare l’idea di Portogruaro/Concordia-Città del Lemene, istituendo un’aggregazione che permetta la co-gestione di servizi e favorisca un processo di unificazione tra i due Comuni. Una vera unità urbana fondata sulla storia e sulle possibili funzioni centrali nel sistema insediativo del Portogruarese. Una città d’arte completa, per il patrimonio artistico di ogni epoca, e quindi un Polo turistico di alta qualità”.
Parlavamo di co-gestione di servizi e di “favorire” un processo di unificazione, ma cosa è stato fatto a riguardo? In che modo ci abbiamo creduto?
Sì, ci sono state alcune riunioni tra le due Giunte per verificare la possibilità di avviare servizi in comune, sono stati individuati i possibili servizi, ci sono stati anche incontri tra tecnici, sono stati tentativi di cooperazione e collaborazione su alcuni temi- ad esempio proprio sui giovani con il consiglio comunale dei giovani, ma poi c’è stato un vero e proprio percorso a riguardo?
A mio avviso non c’è stato in maniera adeguata.
Non quanto lo è stata la scelta anticipatrice di gestire in convenzione-tra Portogruaro e Concordia-l’asilo nido.
Certo ci sono altri esempi di collaborazione, associazione o fusione di società ed enti per la gestione dei servizi, pensiamo al consorzio di Bonifica, pensiamo alla gestione dei rifiuti, pensiamo alla notevole attività svolta relativamente alla possibilità di fusione degli acquedotti.
Ma ancora questa attività, rispetto alle esigenze di razionalizzazione, appaiono insufficienti.
Certo sarebbe interessante conoscere anche i motivi, capire quali sono state le vere ragioni, capire quali sono le motivazioni di rapporti preferenziali tra Comuni, capire il ruolo ed il rapporto dei Comuni all’interno della Conferenza dei Sindaci, capire perché la politica non ha del tutto agevolato un percorso.
Ma questo non è il tema di questa sera.
Oggi, alla luce delle novità legislative e della situazione economica, il confronto sulle gestioni associate, sulle unioni e sulle fusioni dei Comuni diventa obbligatorio.
La Costituzione (artt. 117 e 133) già prevedeva queste possibilità; il testo unico delle autonomie locali del 2000 (artt. 15-30-32), già indicava alcune modalità attuative; il regolamento regionale sui referendum consultivi del 1992 già precisava il percorso istituzionale.
Come mai quindi questi processi non sono andati avanti prima?
L’esperienza delle gestioni associate in Italia è stata finora molto limitata, a differenza delle scelte innovatrici portate avanti da altri Paesi (Francia-Germania- Belgio).
L’esempio della Germania è significativo: nel 1970 la Germania aveva n. 24.000 municipi. Nel 2011, dopo il processo di razionalizzazione, il numero dei Municipi è meno della metà — n. 11.993.
Perché in Italia queste prospettive diventano attuali solo ora?
È indubbio che il municipalismo in Italia è molto più forte e sentito, forse proprio questo ha frenato la spinta all’associazionismo.
Poi la situazione è notevolmente cambiata.
A mio avviso è proprio la crisi, la necessità di ripensare alle istituzioni ed alla spesa pubblica, che ha riportato con forza tali possibili scelte e le ha rese attuali.
Le nuove normative a riguardo sono infatti il Decreto Legge 78/2010, il Decreto Legge 98/2011, il Decreto Legge 138/2011 e il Decreto Legge 95/2012 noto anche come spending review.
Il Veneto ha emanato la L.R. n. 18/2012.
Anche a seguito di tale legge regionale Portogruaro ha recentemente approvato una deliberazione consiliare quadro su alcuni servizi e funzioni da svolgersi in forma associata.
Oggi l’obbligo a gestire in forma associata le funzioni fondamentali riguarda il 70,23% di Comuni per l’esattezza 5683 su 8092 Comuni.
Per funzioni fondamentali si intende solo per fare alcuni esempi: l’organizzazione generale, finanziaria, contabile; i servizi pubblici di interesse generale; i servizi sociali; la polizia locale.
Quindi oggi c’è un obbligo, un’attualità, oltre che un’opportunità a cui rispondere.
Non voglio far diventare questo confronto una spiegazione tecnica, ma credo comunque sia necessario partire con alcune precisazioni.
Troppo spesso si confondono i termini relativi alle gestioni associate.
Le definizioni: unioni, convenzioni, fusioni, vengono usate non propriamente. Eppure le differenze sono sostanziali.
Le unioni sono previste dall’art. 32 del Decreto Legislativo 267/2000. L’unione è l’ente locale costituito da due o più comuni, di norma contermini, finalizzato all’esercizio associato di funzioni e servizi. L’Unione non comporta l’eliminazione dei Comuni che ne fanno parte: introduce la gestione associata dei servizi che è garantita da un ulteriore livello amministrativo, l’Unione, appunto.
Gli organi sono rappresentati da amministratori in carica dei comuni associati.
All’unione sono conferite dai comuni le risorse necessarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni attribuite.
I pro sono: la stabilità istituzionale, la gestione diretta, l’autonomia finanziaria.
I contro sono: una particolare attenzione in fase di costituzione; la cura e pianificazione per realizzare economie di scala.
Le convenzioni sono previste dall’art. 30 del Decreto Legislativo 267/2000.
Sono finalizzate a svolgere in modo coordinato funzioni e servizi, hanno un termine almeno triennale, gli obblighi e i rapporti sono predefiniti, possono essere costituiti allo scopo anche uffici comuni.
I pro sono: la flessibilità e semplicità dello strumento: la facilità di recesso.
I contro sono: non ha una propria governance; i servizi sono altamente specializzati (polizia locale-servizi sociali) o marginali (impianti sportivi).
Le fusioni sono previste dall’art. 15 e 16 del Decreto legislativo 267/2000.
Le circoscrizioni territoriali dei comuni vengono modificate con legge regionale che istituisce il nuovo comune derivante dalla fusione dei comuni originari.
La fusione comporta la scomparsa dei Comuni che si fondono e la nascita di un nuovo Comune che avrà un nome diverso.
Alle comunità di origine devono essere assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi.
Possono essere previsti “municipi” nei territori delle comunità di origine, anche con organi eletti a suffragio universale diretto.
I pro: realizzata la fusione c’è un funzionamento dell’ente più semplice ed un contenimento dei costi; sono previsti contributi statali per 10 anni successivi e contributi regionali specifici.
I contro sono: iter complesso; è necessario uno studio di fattibilità; c’è una incertezza sui tempi di realizzazione.
Quali di queste diverse forme di gestione associata conviene? Cosa comportano?
È evidente che sta alle rappresentanze comunali una prima valutazione, seguita da tutto il coinvolgimento necessario ed obbligatorio delle Comunità- cittadini ed associazioni.
Per una valutazione oggettiva i Comuni devono tenere conto anche dei tempi di realizzazione, più brevi per le convenzioni, medi per le Unioni, più lunghi per le fusioni.
Diversi ad esempio sono gli step della fusione.
I consigli Comunali deliberano di predisporre un progetto di legge per la fusione e danno l’incarico per lo studio di fattibilità.
Il consiglio regionale esamina il progetto di legge e lo studio di fattibilità e da un “giudizio di meritevolezza”, deliberando in caso positivo “il referendum consultivo delle popolazioni interessate e il relativo quesito”, previo parere dei consigli comunali interessati.
Il quesito referendario è sottoposto all’intera popolazione dei comuni interessati dalla procedura di fusione, con decreto del Presidente della Giunta Regionale, da emanarsi almeno 45 giorni prima della data fissata per la consultazione.
La proposta sottoposta a referendum è approvata a maggioranza e ciò a seguito delle recentissime modifiche apportate alla legge regionale che ha portato il quorum a zero.
Segue la legge regionale che determina la nuova circoscrizione.
Viene emanata la legge di fusione.
Vengono eletti gli organi del nuovo Comune.
Vengono eletti gli organi dei “Municipi”.
Una procedura indubbiamente lunga, ma che va considerata insieme ad altri aspetti.
Un’altra e rilevante valutazione dovrebbe riguardare gli aspetti economici.
I contributi statali per la fusione, per 10 anni, sono pari al 20% dei trasferimenti erariali attribuiti per l’anno 2010; i contributi fissati dalla Regione Veneto riguardano le spese correnti e le spese in conto capitale, inoltre sono previsti contributi per gli studi di fattibilità e per i progetti di riorganizzazione; la riduzione dei costi, derivante da organismi rappresentativi unici (sindaco, assessori e consiglieri) è rilevante.
Un vantaggio riguarda poi la tempestività e l’efficienza delle scelte istituzionali. Mettere d’accordo più Comuni su qualcosa è più difficile che collocare le decisioni nell’ambito di un unico ente.
In realtà “tutti vorrebbero meno Comuni, ma rinunciare al proprio è un processo anche culturale difficile ”. Il senso di appartenenza è indubbiamente uno scoglio, anche se le generazioni più giovani sembrano poco interessate da tale questione e più proiettate alla concretezza delle offerte che il livello istituzionale può dare.
Nelle comunità dove si discute di fusione è inoltre sentito il rischio di una perdita di rappresentanza equamente distribuita in tutti i territori del nuovo comune, così come la richiesta di garanzie su quella che sarà la distribuzione dei servizi.
Ecco perché le norme nazionali e regionali considerano obbligatorio il coinvolgimento dei cittadini al momento della decisione su tale scelte.
I sostenitori dell’Unione in genere non respingono del tutto l’idea di arrivare ad una fusione, ma preferiscono che si proceda per gradi, passando prima per una fase di unione tra i Comuni. Ritengono che il passaggio da più Comuni ad uno solo, sia un processo molto delicato e complesso e che attuare immediatamente la fusione sarebbe una soluzione traumatica.
Alcuni temono, in caso di fusione, che la nascita di un Comune molto più grande porterebbe ad una perdita di identità per le realtà meno forti. C’è il timore che il comune più piccolo venga “fagocitato” da quello più grande e quindi di contare di meno.
Inoltre si teme che un ente di dimensioni più grandi rischi di allungare la distanza tra i cittadini e i suoi rappresentanti.
In Veneto i comuni obbligati all’esercizio associato di funzioni sono 313.
Le legge Regionale del 2012 ha stabilito 4 aree geografiche omogenee ed ha predisposto un piano di riordino per l’esercizio delle funzioni e servizi. L’area che ci interessa ed in cui siamo inseriti viene denominata “area del Basso Veneto”.
Nel Veneto oggi esistono 27 unioni di Comuni e solo due comuni sono sorti dall’esito del processo di fusione (Porto Viro e Due Carrare).
Alcune fusioni sono previste nel 2014. Almeno 10 sono invece le proposte avviate per la fusione di comuni:
- Fusione tra Arquà Polesine, Costa di Rovigo, Frassinelle Polesine, Pincara, Villamarzana e Villanova del Ghebbo per dare vita a Civitanova Polesine dal 1 gennaio 2014
- Fusione tra Ormelle e San Polo di Piave
- Fusione tra Ponzano Veneto, Povegliano e Villorba
- Fusione tra Quero e Vas
- Fusione tra Calto, Castelmassa, Ceneselli
- Fusione tra Cadoneghe, Padova e Vigodarzere
- Fusione tra Badia Polesine e Lendinara
- Proposta di fusione tra Forno di Zoldo e Zoldo Alto
- Proposta di fusione tra Chies d’Alpago, Farra d’Alpago, Pieve d’Alpago, Puos d’Alpago e Tambre per formare il nuovo comune di Alpago
- Proposta di fusione tra Mel, Trichiana, Limana e Lentiai
- Proposta di fusione tra Castellavazzo e Longarone
- Proposta di fusione tra Musile di Piave e San Donà di Piave
- Proposta di fusione tra Este e Ospedaletto Euganeo
- Fusione tra i comuni di Carceri e Vighizzolo d’Este entro marzo 2014
- Proposta di fusione tra Albignasego, Casalserugo e Maserà
- Proposta di fusione tra Ponte di Piave e Salgareda
- Proposta di fusione tra Santa Giustina in Colle, San Giorgio delle Pertiche e Villa del Conte.
Tra le proposte di fusione c’è anche quella tra San Donà di Piave e Musile di Piave.
Molti ricorderanno che più di dieci anni fa nel Sandonatese si cominciò a parlare di un progetto politico nuovo, ovvero l’aggregazione in un unico Comune di quattro Enti : San Donà, Musile, Noventa e Fossalta.
Doveva chiamarsi “Città del Piave”. Com’è finita si sa: dopo tanto dibattere le cose sono rimaste come prima e l’argomento, col passare degli anni, ha perso interesse.
Negli ultimi tempi, però, l’idea è riemersa con la proposta di fondere i Comuni di San Donà e di Musile.
Sulle motivazioni di questa proposta voglio citare solo una dichiarazione, significativa: “Musile e San Donà uniti costituirebbero il Comune più grande della nuova entità territoriale e ne costituirebbe necessariamente il traino, magari diventandone il capoluogo.”
Una considerazione logica soprattutto se collegata alla futura città metropolitana.
Ciò dovrebbero fare riflettere anche i Comuni del Portogruarese.
Per questo ho voluto lanciare l’idea — sicuramente non immediata ma possibile — una aggregazione ampia di Comuni (Portogruaro, Concordia Sagittaria, Fossalta di Portogruaro), perché solo così forse si può pensare ad una trasformazione del ruolo e delle prospettive di un’area.
I partiti e la società civile come rispondono a queste sollecitazioni?
La questione non è, appunto, “favorevoli o contrari” alle unioni/fusioni/convenzioni tra Comuni.
Tutti pare sostengano con forza la necessità di adeguati cambiamenti negli assetti amministrativi che garantiscano il più possibile efficienza, contenimento dei costi, partecipazione.
È evidente che per facilitare un percorso ed un approccio “culturale” su tali questioni i Comuni se veramente interessati dovrebbero attivare, su tematiche di interesse pubblico per le quali si debba giungere ad una mediazione, forme più forti di coinvolgimento e confronto con la popolazione.
Nel caso di progetti di fusione, i Comuni potrebbero ed anzi dovrebbero a mio avviso avviare queste procedure di partecipazione ben prima di deliberare il progetto di fusione o unione in Consiglio comunale.
Incominciando ad analizzare ed approfondire le diverse tematiche e per certi versi anticipando alcune possibili analisi degli studi di fattibilità.
Quale sarebbe l’articolazione ottimale degli uffici (dislocazione all’interno del Comune unico, quali uffici vengono centralizzati e quali rimangono nelle sedi municipali periferiche)?
Quale sarebbe l’organizzazione gestionale migliore dei servizi (cosa cambierebbe rispetto al precedente assetto tecnico -amministrativo)? Quali potrebbero essere i costi?
Nel processo di realizzazione di una nuova struttura comunale ad esempio oltre ai costi organizzativi e amministrativi a carico del comune stesso (normativi, adempimenti nei confronti di enti terzi, costruzione di un nuovo sistema informativo comune e armonizzazione banche dati), esistono esternalitàe costi che vanno tenuti in considerazione per il territorio.
In particolare legati alla necessità di rivisitazione di tutta la toponomastica (non solo nel nome del nuovo Comune, ma anche nella modifica delle strade con denominazione uguale); la previsione dei costi di aggiornamento dei documenti individuali (in particolar modo la carta di identità); gli aggiornamenti notarili su variazioni di statuto (per imprese, commercio laddove previsto che le variazioni comportino variazioni notarili).
La diversa dislocazione di uffici e servizi porterebbe quindi indubbiamente per il cittadino, a dei costi indiretti. Come possono essere quantificati?
Dal punto di vista dei Bilanci comunali quale sarebbe l’effetto rispetto alla precedente gestione?
INSOMMA se si vuole dare concretezza a quello che ho definito “PERCORSO DI AVVICINAMENTO”, gli approfondimenti sono doverosi, ENTRARE NEL MERITO È OBBLIGATORIO.
Ecco allora che sull’argomento varrebbe la pena costituire una Commissione Intercomunaleper affrontare congiuntamente alcune questioni che diventano propedeutiche agli obiettivi che si vogliono raggiungere, oltre che base per il futuro progetto di fattibilità, ad esempio:
- la spesa pro-capite media per ogni Comune (spesa corrente per centri di costo per popolazione);
- la spesa pro-capite media ponderata;
- il debito pro-capite (incidenza del debito sulla spesa corrente);
- l’individuazione delle realtà strutturali ed infrastrutturali;
- i principali “driver” di razionalizzazione (personale, appalti, servizi);
- gli interventi prioritari per settori (affari generali, servizi scolastici, servizi sociali, cultura, sport);
- le scelte generali di politica tariffaria e l’armonizzazione fiscale.
È necessario a mio avviso avviare la costruzione di un quadro conoscitivo di insieme che porti a “sciogliere” riserve e dubbi, occorre individuare gli elementi quali e quantitativi utili a supportare fin dall’inizio il percorso istituzionale che le amministrazioni vogliono intraprendere.
Nel caso delle fusioni, trattandosi di un cambiamento radicale, si tratta di un processo rilevante dal punto di vista tecnica, ma che non può prescindere dalle dinamiche politiche, istituzionali, sociali ed economiche che i territori esprimono. È un processo che deve rispondere ad attese politiche, sociali ed economiche da parte di una varietà di attori del territorio di ogni singolo comune interessato.
In altre parole qualsiasi studio od approfondimento non può indicare una soluzione: fornisce solo gli elementi conoscitivi, individua opportunità e scenari possibili al fine di intraprendere un percorso insieme e dare corpo alle scelte politiche che via via si possono — se si vogliono veramente — maturare.
È evidente poi che alcuni temi, di emotività, possono influire in maniera determinante; su questi dunque ancor più va sviluppato il dibattito e raccolte le diverse opinioni nei comuni:
- Come tutelare l’identità culturale, storico, le tradizioni del territorio?
- Come vengono garantiti la rappresentanza e l’ascolto dei cittadini?
- Come si intendono progettare i municipi decentrati?
- Quale modello di governance adottare?
- Quali sono le risorse necessarie alla creazione di un diverso livello istituzionale?
Poi, a mio avviso, bisogna avere il coraggio e la volontà di fare subito dei passi in avanti.
Deve crescere dal basso un livello di armonizzazione ed collaborazione che gettino le basi per future possibili aggregazioni.
Bisogna trovare da subito momenti di coordinamento su attività e servizi, indipendentemente dalle scelte istituzionali che verranno poi adottate.
È necessario ad esempio capire le perplessità e cercare di superare i tentativi di frenare questo cambiamento che proviene dalla burocrazia, a volte restia a modificare una impostazione di lavoro.
Insomma lo sforzo tecnico, organizzativo, istituzionale, politico necessario alla gestione associata ed ancor più alla costruzione di un Nuovo Comune, per garantire servizi migliori a costi calanti, è “straordinario”, ma possibile.
Occorre però una straordinaria unitarietà di intenti e l’avvio di quel percorso di avvicinamento più volte citato.Bisogna tutti insieme crederci.
Se dovessimo iniziare un percorso di fusione tra Comuni già da domani mattina, solo per definire gli aspetti propedeutici ed avviare la discussione nella maggioranze, nelle giunte e nei consigli comunali, sarebbero necessari alcuni mesi. L’avvio della discussione con gli stakeholders, con le associazioni di categoria, con i diversi soggetti interessati richiederebbe altri mesi. Per una capillare informazione ed un sondaggio preventivo di tutti i cittadini, tre mesi.
Per il conferimento dell’incarico per il progetto di fattibilità e per la sua realizzazione si dovrebbero prevedere almeno 6-8 mesi.
Il restante iter — dalla predisposizione del progetto di legge alla indizione del referendum — richiederebbe un tempo non inferiore a due anni.
È evidente che nel frattempo non ci possono esserci “strabismi” politici.
Non si può parlar bene e razzolare male. I processi aggregativi non maturano se tra le Comunità interessate vengono alimentate diffidenze o peggio contrapposizioni.
Considerato che questa iniziativa è organizzata dai giovani del PD, forse è il caso di rappresentare l’opportunità, se veramente si crede a queste innovazioni, che gli esponenti del PD locale per primi e comunque tutti noi insieme dimostriamo con i fatti la volontà di creare “unioni” ed evitiamo di operare con logiche di separatismo e di alleanze partitiche privilegiate.
Insomma se cambiare si può, cambiare si deve, ma insieme.